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Finti Libertari, Finta Sinistra, Veri Fascisti

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Di Kevin Carson. Originale: Fake Libertarians, Fake Leftists, and Real Fascists, del 23 febbraio 2025. Traduzione italiana di Enrico Sanna.

Il giorno dopo l’infame “sieg heil”, il saluto nazista fatto da Elon Musk al discorso inaugurale, Thomas Lecaque, docente di storia che studia la violenza religiosa, giustamente osservava: “Elon Musk ha fatto il saluto nazista. Non c’è niente da discutere, niente da interpretare, nessuna controversia, sul fatto c’è chi mente e chi dice la verità.” Chi dice che non è vero, prosegue, “lo fa in malafede.”

Tra quelli in malafede, prevedibilmente, c’è anche Liz Wolfe, di Reason Magazine.

Elon Musk è tante cose, ma non nazista… Ha fatto qualche gesto enfatico, ha detto cose come: “Il mio cuore è con voi” e “È grazie a voi che la civiltà ha un futuro assicurato”, e ha notato che, se ci sono risultati elettorali di scarsa importanza, questo non è tra quelli.

Poi ovviamente su queste cose la gente va su tutte le furie…

“Ma Musk ha davvero fatto il saluto nazista al discorso inaugurale di Trump?” si chiede The New Republic. Non credo. No. Ed è assurdo che i media siano disposti a insistere, a dire che Trump e le persone associate a lui sono nazisti. Musk stava semplicemente gesticolando, come fa sempre quando si emoziona. Se pensate che Musk abbia un comportamento nazista, vi state ingannando. Il nazionalismo etnico non gli appartiene, né il bavaglio di stato, né l’internamento dei nemici politici. Datevi una calmata.

Vediamo i fatti. Da tempo Musk è ossessionato dal calo delle nascite e da cliché come il “genocidio dei bianchi” (parla ad esempio di “genocidio dei bianchi in Sudafrica”, dice che chi vuole abbattere le statue di Robert E. Lee “vuole semplicemente la vostra estinzione”), accusa l’amministrazione di Biden di aver favorito l’immigrazione illegale “sperando di ottenerne il voto” e così via. Il culmine è rappresentato dalla fede nella teoria della grande sostituzione. Jason Wilson, sul Guardian, riassume così l’argomento:

La “grande sostituzione” è una teoria complottista razzista secondo la quale è in corso un tentativo nascosto di sostituire la popolazione nei paesi a maggioranza bianca. Esistono molte versioni, come il manifesto degli stragisti di Christchurch in Nuova Zelanda, El Paso in Texas e Buffalo nello stato di New York, che dicono che a manovrare questa presunta sostituzione sono gli ebrei.

Ad un tweet che accusava “le comunità ebraiche” di “fomentare l’odio dialettico contro i bianchi” e di sostenere “l’invasione delle minoranze”, Musk risponde: “Dici la pura verità.” Tra l’altro, si capisce dalla fonte che Musk ha ripreso il tweet da una replica del nazista Nick Fuentes.

Musk ha poi commentato:

La Lega Anti Diffamazione attacca gran parte della popolazione occidentale anche se questa sta dalla parte degli ebrei e di Israele.

Questo perché, per principio, non può criticare quelle minoranze che rappresentano la principale minaccia.

Il giorno dopo Musk va ad invischiarsi in una sorta di diatriba fatta di rivoltanti messaggi destrorsi. Comincia Jack Posobiec dicendo: “I bianchi sono gli unici che per rendersi accettabili devono odiare la propria razza.” Il tweet viene poi ripreso da Eva Vlaardingerbroek (che nella sua biografia si vanta di essere “lo scudo femminile dell’estrema destra”), che aggiunge: “Tutti hanno il diritto di essere orgogliosi della propria razza, tranne i bianchi, perché hanno subito il lavaggio del cervello, gli hanno fatto credere di essere in qualche modo ‘peggio’ delle altre razze.” A completare, Musk che aggiunge: “mi piace”.

A Musk piace anche condividere meme provenienti da quell’area in cui, come in un “diagramma di Venn”, si ritrovano estrema destra, complottismi e cliché antisemiti. Come la citazione, falsamente attribuita a Voltaire, in realtà del neonazista Kevin Alfred Strom, “Se vuoi sapere chi ti controlla, scopri chi non puoi criticare” (sottinteso: “gli ebrei”). E ha favoreggiato i neonazisti, ad esempio sospendendo gli account di chi faceva il vero nome, Hans Kristian Graebener, del vignettista autore di “Stonetoss”.

Da qualche tempo Musk adotta come avatar del suo account su Twitter il simbolo dei Groyper, un gruppo di nazionalisti di destra, e “Kekius Maximus” (“Groyper” e “kek” sono simboli associati ai troll dell’ultradestra), e più volte ha appoggiato i neonazisti tedeschi di AfD (ad esempio: “Solo l’AfD può salvare la Germania”).

In breve, da quando qualche anno fa si è infilato nel ginepraio dell’estrema destra, quanto a idee ed espressioni Musk è diventato un minestrone stantio di luoghi comuni dell’ultradestra, nazisti e paranazisti, come il genocidio dei bianchi e la grande sostituzione; su Twitter segue in particolare persone come Prosobiec, Cernovich, Ian Miles Cheong e compagnia, con commenti come: “preoccupante!”. Quanto al cosiddetto “gesto enfatico”, poi ripetuto, non avrebbe potuto essere una migliore imitazione di Hitler se si fosse esercitato per ore allo specchio.

Insomma, Liz, non convinci nessuno, neanche te stessa. Sai che stai dicendo bugie e sai che noi lo sappiamo. Non venire a pisciarci i piedi e dire che sta piovendo.

Dicevo prima che il commento della Wolfe era prevedibile perché non è una novità né per lei né per Reason. Un anno fa, riferendosi al presidente uscente dell’università di Harvard, Claudine Gay, l’ha definita “al soldo della discriminazione positiva”: un raglio razzista, il suo, più che una denuncia.

È fin dalla prima volta di Trump, nel 2016, che Reason tende a minimizzarne le tendenze autoritarie: più che di parlare di Trump, si sforza di liquidare e trattare con superiorità chi ne ha paura. Così diceva Radley Balko subito dopo le elezioni del 2016:

Mi siete simpatici, voi di @reason, ma non capisco la vostra homepage attuale. Deridete la sinistra, rimproverate chi ha paura e spargete ottimismo sull’elezione di Trump. Solo un articolo che ne denuncia i rischi. È proprio ora che i libertari devono usare le proprie energie contro il potere. Chi teme Trump dovrebbe essere considerato un alleato, non dev’essere deriso.

Dopo le elezioni del 2020, Reason diede il benservito all’articolista Shikhe Sood Dalmia perché, scrisse allora Andrew Kirell su Daily Beast, “criticava troppo spesso e troppo aspramente il presidente Trump.” Lo stesso Dalmia, su Facebook, confidò:

Mi dissero che le mie opinioni erano troppo discordanti con quelle dell’organizzazione. Difendere il mio operato davanti a donatori e azionisti era diventato troppo oneroso, a quanto pare… Avevo opinioni forti e irremovibilmente antitrumpiane, denunciavo le sue tendenze autoritarie senza peli sulla lingua. Che tutto ciò irritasse molti libertari la dice lunga sul loro stato attuale.

Anche con un personaggio autoritario di estrema destra alla Casa Bianca, la rivista presunta libertaria se la prendeva soprattutto contro la minaccia della “cultura della cancellazione” e dei “woke”, come dimostrava la posizione di primo piano di Robby Soave con le sue storie sulla guerra culturale. Così Kirell:

La cacciata dell’articolista arriva in un momento in cui alcuni libertari ed ex dipendenti accusano la rivista di quella che secondo loro è la posizione assunta nell’era Trump: non apertamente a favore di Trump ma più impegnata a minimizzare, liquidare o ignorare le critiche di sinistra delle tendenze autocratiche di Trump piuttosto che sconfessare il suo modo violento di governare. Le critiche più aspre [Reason] le riserva al politicamente corretto e alle lagne della cultura della cancellazione nel mondo accademico.

A dicembre 2020 Balko torna sull’argomento nel contesto dell’incidente di Dalmia e della guerra di delegittimazione del risultato elettorale avviata da Trump.

Subito dopo le elezioni del 2016 notai come stranamente la homepage di Reason fosse dominata da articoli che o ridicolizzavano le paure della sinistra, oppure spiegavano che Trump poteva rappresentare un bene per i libertari.

Oggi, quattro anni dopo, ci ritroviamo con un partito talmente irritato dal risultato elettorale da fomentare una crisi della democrazia. Oggi sulla homepage di Reason sull’argomento troviamo solo un pezzo. Gran parte dello spazio è dedicato a denunciare la minaccia rappresentata da Joe Biden e a ridicolizzare la sinistra.

…Nel giornale ci sono persone che in questi ultimi quattro anni, nonostante la linea editoriale, hanno capito bene i rischi di Trump. E questo accresce il mio disappunto verso i miei amici libertari in generale durante l’era Trump. Dovremmo essere noi a lanciare l’allarme. E con orgoglio! Dovremmo essere noi a reagire sproporzionatamente quando il governo supera le linee rosse… Voglio dire, mi stupisce che chi pensa di abolire l’FBI, la CIA, DEA, BATF e DHS (e altri), si mostri disdegnato quando si parla di “definanziare la polizia”. Non si parla mai di abolire la polizia. Invece di cogliere il momento, invece di fare alleanze per fare riforme utili, molti libertari hanno screditato gli attivisti che parlavano di “definanziamento” definendo la cosa inattuabile, estremista, utopica. Ma ad essere estremisti, inattuabili, utopici dovremmo essere noi!

In gran parte, la ragione di tutto ciò sta nel fatto che molti libertari considerano ancora la sinistra una minaccia più grande della destra. Sono sbigottito davanti a quello che è successo negli ultimi quattro anni, e da quello che succede ora. Tolte le normative e le tasse (più o meno), il trumpismo ha invaso tutti quegli spazi in cui i libertari avrebbero dovuto convergere con la destra.

In parte probabilmente perché i libertari disprezzano la politica e il governo in versione da telefilm… Ma dobbiamo capire che solo i privilegiati possono scegliere di ignorare la politica. Se la tua vita dipende dal DACA, o la tua famiglia è senza documenti, o sono vent’anni che vivi appeso al TPS, non puoi permetterti di “vivere apoliticamente”. Capiamo il problema quando si parla di imprenditori preoccupati per le normative di Biden. Quando invece si tratta di simpatizzare con chi denuncia il razzismo della polizia, o gli abusi delle istituzioni migratorie o la violenza della polizia di frontiera, ci tiriamo indietro. Questa amministrazione vuole azzerare l’accoglimento dei rifugiati e sguinzagliare la polizia contro i manifestanti, e ha detto apertamente che un’elezione senza la vittoria di Trump è una frode… Sento invece sostenitori libertari di Trump, anche persone in vista, dire che in questi ultimi due anni la vera minaccia alla libertà viene dagli antifascisti o dal leader di Black Lives Matter che una volta ha detto di essere marxista.

Come dice Balko su Daily Beast, il licenziamento di uno dei suoi articolisti per aver criticato troppo l’uomo più potente della terra mal si conciliano con i precedenti anticensori della rivista “libertaria”. E, aggiunge Kirell, mal si conciliano con le accuse di Reason contro i “beghini woke” del New York Times che hanno licenziato un loro redattore opinionista per aver ospitato Tom Cotton che chiedeva l’uso dell’esercito per sopprimere le proteste di Black Lives Matter. Intanto Robby Soave (che i donatori a quanto pare preferiscono a Shikha Dalmia), il ragazzo d’oro di Reason, deride chi accusa Musk di aver fatto il saluto nazista e liquida chi parla di presa di potere della destra definendoli “BlueAnon”. Perché a quanto pare la vera minaccia per la nostra libertà è il professore delle superiori che scrive “latinx” e chi vieta la presenza del Ku Klux Klan nelle università. Se non riesco a trattenere il mio disprezzo nei confronti di questi qua è perché li odio sinceramente.

La svolta a destra di Reason fa parte di un fenomeno più ampio che dall’ascesa di paleolibertari e hoppeani negli anni Novanta è culminata nella conquista del Partito Libertario ad opera dell’ultradestra del “Mises Caucus” (il comitato nazionale è presieduto da Angela McArdle che, tra le altre cose, parafrasa le quattordici parole e definisce i negazionisti dell’olocausto “amici che cercano la verità”). La cerchia di potere hoppeo-fascista rappresentata dalla McArdle comprende buffoni come Jeremy Kauffman e Joshua Smith (che chiede l’abrogazione del tredicesimo e diciannovesimo emendamento), e l’affiliato Partito Libertario del New Hampshire (che in un tweet invocava l’esilio per chi celebra la giornata dell’emancipazione, e ha accusato il Rolling Stone di essere parte della “cattedrale”, il polo accademico-mediatico liberal, perché ha denunciato il nazionalismo bianco di Eric Clapton e l’idiozia antivaccinista).

Intendiamoci, il problema non sono solo i libertari di destra che rinunciano al dovere principale dei libertari di denunciare e opporsi a uno stato autoritario. C’è anche il problema serio di quella cosiddetta sinistra che passa più tempo a combattere liberal e democratici che i veri fascisti, arrivando anche, in certi casi, a fare causa comune con i fascisti per denunciare il centrosinistra come nemico principale. C’è tutta una sottocultura spazzatura di sinistra, fatta di persone come Glenn Greenwald, Jimmy Dore e Matt Taibbi, che considerano “la merda liberal” il nemico principale, e ripetono luoghi comuni come “il Russiagate si è rivelato un vuoto pieno di nulla”, o “i golpisti del sei gennaio erano solo dei turisti particolarmente chiassosi”. Un esempio di questa sottocultura è Zeeshan Aleem, che nel link precedente contrappone “la fretta di Dore nel liquidare i golpisti definiti opportunisti, alla sua generosità verso la destra”. Pur riconoscendo, a parole, che “entrambi” sono dei poveracci, chi non critica i democratici almeno dieci volte più di Trump è accusato di essere “il lato oscuro”. “Sinistra”, se vogliamo chiamarla così, significa staliniani, campisti e semplici idioti che stanno in una zona grigia che confina confusamente con i nazibolscevichi e seguaci di Dugin. Sembrano una carrellata tra il Terzo Periodo di Stalin e il patto Molotov von Ribbentrop.

In tempi di rinascita del nazionalismo bianco di estrema destra e di cleptocrati miliardari coi loro tentativi di imporre un governo autoritario, il primo dovere di libertari e persone di sinistra, se davvero meritano questo nome, è: resistere. Molti, troppi, invece, tifano per il tiranno e fanno del loro meglio per fermare la resistenza.

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Source: https://c4ss.org/content/60169


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